Il vero protagonista assoluto della vita è il vuoto. Tutto quello che facciamo o che non facciamo è in funzione di esso, anzi in funzione di “lui”, perché vorrei rivolgermi a quest’entità come fosse una persona, essendo la forma più antica del mondo: prima di ogni tempo c’era solo lui, siamo noi che con il nostro tutto abbiamo invaso la sua privacy e fa certamente paura, nel momento in cui non si può spiegare con la ragione. Ci sono momenti, nella vita di tutti i giorni, in cui ogni persona si ritrova costretta a subirne gli onori di casa e rifugiandosi dentro sé, volente o nolente, lo deve ascoltare nella speranza di poterlo sentire.
In questi tempi post pandemici siamo tutti chiamati alla sua corte, c’è tanto da ricostruire e quel senso di smarrimento che percepiamo negli occhi delle persone attorno a noi è dovuto al fatto che non abbiamo una guida. La voglia di vivere e le paure hanno preso una strana confidenza in questa fase senza precedenti, mentre certi autori di cui abbiamo necessità, non possono venire in sostegno con nuove pubblicazioni influenzate dal periodo storico e ora sta a noi saper guardare oltre la musica contemporanea (quella che purtroppo deve trovare il suo tempo per esporsi in un’epoca tanto veloce) per riuscire a trovare nutrimento in progetti che ci hanno già raccontato nel passato, cercando di avvicinarsi il più possibile al presente. Perché la vita è ciclica, lo sappiamo tutti: cambiano gli eventi, le persone, le tendenze, ma siamo sempre noi a viverla e del resto, non è una novità che i nostri nemici più grandi siano sempre stati invisibili. Chi è disposto a fermarsi un istante davvero? Chi è disposto a morire per primo, per darsi un indizio sul paradiso? Qualcuno lo ha fatto molto prima di abbandonare il suo corpo, ma certe testimonianze faticano a salire a galla. Serve una spinta affinché cadendo, si possa essere in grado di ritrovare il proprio equilibrio.
Ascoltare il vuoto è come provare a mangiare un odore. È l’amore covato nel profondo del cuore di una persona che ne conosce solo il rifiuto. Una terra arida dove è più facile immaginare quello che non c’è piuttosto che iniziare a costruire quello che dovrebbe esserci. Il vuoto ci ricorda chi siamo, ci nutre con niente, ci ama nel dolore. È lo spazio immenso dove gettare il seme del silenzio. È il testimone di nozze che accompagna all’altare e allo stesso tempo lo sposo. Il vuoto siamo noi e tutto quello con cui lo riempiamo, dipende da quanto noi riusciamo a essere il vuoto.
Uno dei più grandi conoscitori di questa entità è Franco Battiato. Ripeto: è, non è solamente stato. Attraverso le sue opere, frutto di sperimentazione e ricerca, non potrà mai cessare di essere, persino da morto.

Nel 2007 fa uscire per Universal Music Italia un manuale per imparare a conoscere e poi convivere con “Il Vuoto”, che è il titolo del suo venticinquesimo album. Un percorso nichilista e pieno di vita allo stesso tempo, che ne mostra ogni sfumatura attraverso dei passaggi chiave tipici di ogni periodo dell’esistenza stessa di ogni essere umano. Si può metaforizzare chiunque ascoltando attentamente e consequenzialmente il disco.
Il viaggio inizia in un Caos orchestrale e lirico, dove il Maestro con la sua solita calma e voce soave incalza:
“Tempo, non c’è tempo, sempre più in affanno inseguo il nostro tempo.”
Il brano è un continuo susseguirsi d’immagini della società di oggi (come nel 2007) attraverso le visioni delle persone che la vivono: non un vero inizio, ma una doverosa premessa quasi scontata che fa comunque impressione sentirsela cantare in faccia. Semplicemente un punto della situazione senza giudizio, senza nulla di personale. La pura, banale, stupida e scontata verità. Tra le parole che emergono dal delirio strumentale, che è tra l’ altro molto gradevole all’ascolto, sentiamo evocata più volte la chiave per accedere al passaggio successivo:
“Tu sei quello che tu vuoi, ma non sai quello che tu sei.”
Finalmente semaforo verde, oppure rosso se alla griglia di partenza. Del resto tutto è relativo, come il tempo stesso ne “I giorni della monotonia” dove Battiato è costretto insieme a ognuno di noi a fare i conti col passato. Si parla di un amore, ma badiamo bene che l’ amore non è relativo solo a un rapporto carnale con un’altra persona; l’ amore a cui si fa riferimento è quello che metaforizza ogni inizio e non può essere libero di essere quello che è senza essersi liberato dai condizionamenti di quello che c’è stato.
“Stavi giù, distesa sotto al letto e ti lasciavi andare come alla deriva. Passavamo così attraverso impervie vie i giorni della monotonia.”
Non abbiamo la descrizione nitida di due persone che si amano, ma di due individui isolati che si annoiano insieme, si tengono compagnia come detenuto e carceriere, scambiandosi di ruolo a seconda della circostanza. Dentro possiamo trovarci dinamiche di tutti i giorni e di tutti i luoghi, e solo liberandoci dai pesi che non ci appartengono possiamo dare valore ai nostri e allora abbiamo una frase più che rappresentativa delle generazioni odierne: “Mi innamorai ossessivamente per distruggermi.”
Davanti a una verità così palese e straziante arriva la consapevolezza: vivere di momenti intensi non è la vita, è solo un suo segmento e non ci si può confinare a lungo o si rischia di vivere una vita che non è la nostra e se nel passato chi provava a vivere sé stesso era additato come un pazzo (vedi il Belluca Pirandelliano), oggi la situazione è molto cambiata: prima o poi panico, depressione, ansia vengono a trovarti se fuggi, siamo fortunatamente più fragili e umani dei nostri avi, spesso cinici e privi di autocoscienza. Mi viene in mente Goku nella Stanza dello Spirito e del Tempo, quando si rifiuta di rientrare una seconda volta: anche se nessuno riusciva a comprenderlo, aveva già intuito che c’ era più potenza in un attimo di rabbia o di orgoglio sincero che in anni di allenamenti e certe esperienze non possono durare a lungo o per fortificarsi si rischia di danneggiarsi l’ anima e il corpo.
Credo che questa lezione l’abbiamo appresa e noi tutti a nostre spese dopo l’esperienza del lockdown. L’ultima frase del brano ci indica difatti nuovamente la via: “Sto con me, tra noi due ho scelto me.”
Ogni chiusura apre a un nuovo inizio e per questo che il passo successivo si chiama “Aspettando l’Estate”, la canzone a cui sono più legato. Un brano che non ha stagioni, che sa di spensieratezza e si colloca quando il vuoto è fertile e l’attesa sembra una carezza da quanto l’anima è leggera. Noi esseri umani siamo in grado di portarci dentro le persone e, se fuggiamo ogni logica di possesso, diventano eterne dentro di noi, offrendoci attraverso il ricordo sensoriale la possibilità. “Anche se non ci sei, tu sei sempre con me. E sono ancora sicuro che io ti rivedrò ovunque tu sia.”
Ma l’estasi dei momenti d’ozio di cui parla Battiato nel testo, fa riferimento all’estate, non alla sua attesa. Perché? Non si può godere del tempo in quel momento? La risposta arriva subito dopo, come un fulmine a ciel sereno. Il brivido del nuovo inizio, la riscoperta di sé, il ritorno alla vita dopo un periodo di detenzione è solo un’illusione. È il ritorno alla condizione che ha creato il contrasto interiore. Voglio essere estremamente chiaro su questo concetto: non giudico chi vive in balia tra i vari fuochi della vita, è fondamentale osservare il tutto dagli occhi di chi è uscito da una condizione di sgomento per provare a non rientrarci, almeno fino a quando non ci si ritrovi nuovamente. Ripeto la vita è ciclica, ma un po’ di libero arbitrio temo ci appartenga.
Ricordo un mio caro amico dopo 7 mesi di carcere per una condanna di tantissimi anni prima, mi raccontò che ci mise un anno intero a superare il senso di vuoto che sentiva in petto e anche quest’aspetto lo abbiamo capito senza essere condannati da un tribunale. Sto parlando dell’estate 2021 dove la foga di vivere ha ingozzato di libertà uno stomaco ancora costipato. Così Battiato decide d’incidere “Niente è come sembra” che altro non è che il racconto di un uomo che affacciandosi semplicemente alla finestra, osservando il nulla, si rese conto che niente fosse davvero reale, tutto era figlio della percezione. “Solo chi ha un destino rovina” ovvero solo chi non ha alcuna speranza nel futuro distrugge nel presente e il parallelismo tra gli anni ‘90 e quel 2007 che sembra tanto un 2022, si fa ancora più pesante, reale questa volta, come il passante che nel testo si intromette nella visione opprimente dell’uomo che inizia a fare i conti con i propri bisogni. Chi è quel passante? Forse un “Tiepido Aprile”, mese di passaggio fondamentale che consola da sempre il viandante. L’estate sta arrivando, la vita bussa alla porta ma ogni volta che quest’ultima viene aperta non c’è nessuno. Non è ancora il tempo, gli alberi sono in piedi ma senza frutti. Un po’ come ci sentiamo noi alla fine di quest’anno. Ma anche se l’uomo nel vedere un campo vuoto teme che non cresca il raccolto, quando i giochi sembravano finiti, quando sembra che forse siamo così cambiati dentro da non poter tornare più alla vita di prima, inizia una nuova primavera. Addirittura un brano intero dedicato alla stagione più bella dell’anno, proprio perché già riscalda mentre si attende che il fuoco arda e la legna è tanta a disposizione. Eppure la primavera inizia a marzo! Siamo passati per aprile, cos’è successo? Dove siamo? Chi siamo? Forse non è il tempo che stava avanzando contro di noi, forse siamo noi che fuggire dal vuoto siamo avanti contro il tempo! La fretta del nostro tempo, dove non c’è nessuno a dirci: hai fatto tutto quello che dovevi fare, ora attendi. Dove nel vuoto sentiamo colpe che non ci appartengono e veniamo premiati di meriti onerosi. “La primavera cominciò un po’ di tempo prima e l’erba si vedeva bene e noi stavamo bene… Tu che abbassavi spesso gli occhi e sempre prima di me.”

A volte un nuovo amore, un nuovo lavoro, una nuova esperienza universitaria o qualunque altra cosa ci faccia vibrare, ci dà l’illusione di essere già adulti senza aver chiuso i conti col bambino che abbiamo dentro e si ha la sensazione di cadere ancora e ancora ma è sempre la stessa ferita che si riapre. Finalmente siamo a destinazione, abbiamo vinto. Ma perché questa vittoria è Di Pirro? Perché l’amore non è più amore? Perché se il nuovo inizio è parte integrante della nostra vita, non riusciamo a sentirci noi stessi? D’un tratto ci rendiamo conto che siamo al punto di partenza, anzi, non ci siamo mai mossi di lì. Come Battiato ci conferma, in questi casi l’uomo crolla nelle crisi esistenziali. Perché il tempo è primordialmente puro e immutabile, mentre le nubi sono temporanee e tutto sembra solo un’apparenza ma noi siamo qui, ancora vivi, da tempo immemorabile. “Qui non si impara niente, sempre gli stessi errori, inevitabilmente gli stessi orrori da sempre, come sempre.”
Il ritorno a noi stessi viene descritto nella penultima traccia “Io chi sono” e ci riporta ai nostri limiti, al nostro essere impotenti. Avete notato come il viandante, che poi è Battiato e del resto siamo noi, smette di essere singolo individuo e diventa parte di una comunità? Ma come! Lui che voleva tanto essere l’unico e speciale, a costo di vivere in una gabbia d’oro.
Persino il narcisismo dei nostri tempi crolla inesorabile davanti alle verità della vita. Sapete perché Mufasa nel Re Leone, quando deve richiamare Simba per educarlo, gli dice che i grandi Re del passato lo guardano dall’alto? Per farlo sentire parte di un insieme. La condizione è più unica che rara e nessuno può capirla, tranne un altro Re. Così Battiato nel suo racconto ci fa partire e fa arrivare in una condizione tanto estrema di solitudine, perché signori miei … Di questo stiamo parlando! Non è il vuoto che spaventa ma la paura di essere soli e abbandonati a noi stessi prima e dopo la morte, senza una guida, senza nessuno che sappia rassicurarci. Eppure il Poeta lo lascia un barlume: “La luce si unisce allo spazio, sono una cosa sola, indivisibile.”
L’ultimo capitolo della saga ci immagina distesi tra due alberi, masticando semi di mela alle prime luci del mattino. L’estate è arrivata ormai da un pezzo eppure l’estasi dei momenti d’ozio tanto attesi sembrano essere intrisi di ciniche consapevolezze. Non è facile goderne in queste condizioni, sembra di vivere in un vecchio film, dove la pellicola ha molto più fascino della realtà. Le azioni del mondo non influenzano il sole, dice, e i nemici è sicuro sono dentro di noi. Com’è possibile restare ciechi per così lungo tempo?
La sperimentazione orchestrale che segue tutto il disco lascia spazio solo agli archi, la voce si spoglia, la stessa voce che nel caos invitava alla calma sembra diventare ambigua. Cambia la musica, tornano gli stessi strumenti ma con un obbiettivo differente: scendono in campo i fantasmi, diventano carne. Inizia la vera battaglia.
“Mi trovavo a lottare contro i miei fantasmi, spostandomi in avanti per quanto lo consente la catena. Scopersi per caso lo stato che ascende alla gioia.”
Il verbo ascendere vuol dire dirigersi dal basso verso l’alto. Non serviva correre verso la luce per raggiungerla, era solo necessario essere davvero disposto ad affrontare le tenebre. Come in quel passo biblico dove Dio chiede a un padre di uccidere il figlio e quando viene puntata la spada su quest’ultimo viene fermato dall’alto: è nella ribellione alla sua condizione di uomo fermo che finalmente esce fuori la vita dell’uomo dinamico, padrone dei suoi spazi e senza la brama di possesso per quello che non ha! Iniziano una serie di frasi, odori, suoni lontani che partono da dentro attraverso un’energia dalla forza ineguagliabile. Arriva finalmente la gioia, la felicità, duri quello che duri, è presente, esiste! Il solo fatto che esista rende la libertà degna d’esser vissuta. Franco Battiato è sceso all’inferno come Dante, lo ha fatto senza un Virgilio e senza una Beatrice. La Beatrice di Battiato non è la donna angelo che conduce al paradiso, è il punto di smarrimento iniziale. In quasi mille anni di storia la percezione d’infinito si tramuta in noia e il paradiso si traduce in vuoto. Non cambia tuttavia l’ascendenza, il salire verso una condizione superiore dell’umano, in una parola quell’istante chiamato felicità. Il nostro viaggio parte da una gioia svanita e ci conduce alla prossima, senza consumare nulla, senza appoggiarsi al prossimo, senza alibi e pubblicità. Questo 2022 è l’anno in cui forse ci siamo sentiti più soli in mezzo alla gente, proprio perché costretti a fare i conti con la nostra individualità ci siamo dimenticati di essere società, ma ora lo stiamo ricordando e in un’ultima immagine, direttamente dall’altro mondo, il Maestro Franco ci dà un’ultima visione per accompagnarci in questi riti di purificazione senza luce né oscurità, senza protagonisti o antagonisti, senza rassicurazioni o preoccupazioni, per vincere almeno un momento la nostra solitudine dobbiamo solo essere in grado di fermarci, con tutto quello che comporta.
“ Era l’estate del ‘63, un pomeriggio assolato. Dal Jukebox di un bar completamente vuoto… She loves you, ye ye ye.”
Il vero protagonista assoluto della vita è il vuoto, è vero. Ma siamo noi a farne la regia.

Se sei arrivato fino alla fine ti lascio in regalo il .Pdf del mio ultimo romanzo Ci conosciamo già:
Gran bella analisi .
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Grazie!
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Gli umani – come io sovente mi trovo a dire non in ossequio a chissà quale suggerimento che vorrebbe far pronunciare strafalcioni del tipo “onorevola”, ma semplicemente nella comprensione ecumenica di genere – i più volonterosi tra essi, inviano i loro pensieri come sonde per cercare di capire, almeno in minima parte, l’oltre. Franco Battiato, un essere dalle molte qualità, ha proposto mediante l’arte musicale,chiavi di lettura che sono sperse nel nostro giardino, una sorprendente, toccante semplicità che è in grado d’essere il granaio per lo spirito dell’esistente. 🖐️😊🎄⛄
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Bellissime parole Mario
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Molto interessante. Grazie.
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Grazie a te.
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Bravo Filippo.
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